L’attività dell’avvocato è molto cambiata in Italia negli ultimi 30 anni, dopo decenni di relativo immobilismo e di conservazione, dal dopoguerra agli anni 90. Con l’avvento del mondo globale, gli scambi commerciali con l’estero sono cresciuti di volume e di valore. Sono aumentate le leggi, in danno della semplicità di sistema. La società italiana si è profondamente trasformata, ma arranca, nel suo insieme, a tenere il passo con le società europee più evolute. Il digital divide tra Nord e Sud e tra generazioni è consistente. La magistratura è cambiata, a sua volta, dopo la stagione di Mani Pulite. L’avvocato italiano, non solo di provincia, è stato tradizionalmente un artigiano del diritto, spesso “tuttofare”, capace di impegnarsi, anche con buoni risultati, in utroque iure, laddove “l’altro” diritto praticato, oltre al civile, era il penale, di sangue o bagatellare.
GLI ANNI ’90
Fino agli anni 90, non è esistito, in effetti, il diritto penale dei colletti bianchi, con l’eccezione della corruzione, indagata, ma non troppo, per la notoria difficoltà di imputazione del reato (non c’erano le tecnologie che poi si sono affermate), e forse anche per il senso del limite del reo, che, in seguito, è saltato completamente, sulla scia della politica, ma non solo per la politica. Gli avvocati, prevalentemente uomini, sono stati 60, 70, 80 mila in Italia, fino alla metà degli anni 90. Roma è sempre stato l’Ordine più numeroso. La componente femminile è cresciuta dagli anni 80 in poi, analogamente a quella della magistratura. Il balzo numerico degli studenti di giurisprudenza e degli iscritti si deve alla stagione di Mani Pulite, alla crescita dei grandi studi, all’ingresso in Italia delle Law Firm anglosassoni, prive di tutto, meno che di prospettive, causa le ghiotte privatizzazioni delle società a controllo pubblico.
La congerie legislativa, di cui ora si reclama la semplificazione, si è sovrapposta alla tradizione nazionale di esercizio del potere statuale e burocratico, creando il Moloch esigente, che divora risorse e produce inefficienze.
Nel 1990 è stata introdotta la legislazione antitrust, voluta, tra gli altri, da Valerio Zanone, ministro dell’Industria negli anni 80, liberale e galantuomo. La Consob, esistente dal 1974, è stata dotata di risorse, nella prospettiva dello sviluppo di Borsa italiana, mai veramente decollata, incredibilmente controllata, ora, dal London Stock Exchange.
Negli anni 90 si è conclusa definitivamente la stagione dell’avvocato artigiano, bravo e talvolta bravissimo, che, attingendo esclusivamente alle proprie risorse intellettuali, se la cavava, rispetto alle organizzazioni più strutturate, studi legali e società di consulenza di origine statunitense, con l’aiuto della segretaria e di un giovane avvocato, destinato alla successione nel volgere degli anni.
Fino agli anni 80 i grandi studi legali – internazionali, si diceva – erano sostanzialmente due: Chiomenti e Baker & McKenzie. In precedenza c’era stato lo studio Graziadei, che, nel dopoguerra, riscosse la fiducia degli investitori americani finanziati dal piano Marshall e attrasse nella sua orbita numerosi e ottimi avvocati, fino alla dissoluzione, sostanzialmente coincidente con la fine del fondatore.
Lo studio Chiomenti, invece, è sopravvissuto alle diaspore e alla concorrenza, che, già negli anni 80, ad opera di avvocati giovani e brillanti, dotati di capacità organizzativa, spesso – non si sorrida – consistente nell’energia trainante di una efficiente segretaria executive, si è affermata in Italia, insidiando il patrimonio di relazioni personali e l’avviamento di Pasquale Chiomenti, fondatore dello studio nell’immediato dopoguerra sulla scorta di un’esperienza americana, di una sana ambizione e di una evidente, vivace intelligenza meridionale. La concorrenza si è dapprima materializzata in due studi, tuttora in auge, Erede Bonelli Pappalardo, in seguito BonelliErede, e Gianni Origoni Grippo, in seguito Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners.
Ricordo di Pasquale Chiomenti, un protagonista, da parte del figlio, Carlo
La figura di Pasquale Chiomenti, scomparso nel 1990, merita di essere ricordata, ricorrendo alle parole del figlio Carlo Chiomenti, amico e collega, tratte dalla relazione da lui presentata in una sede prestigiosa, per il tributo dovuto a un protagonista indiscusso dell’attività forense e per l’insegnamento che, ancora, si può trarre dalla sua pratica.
“Penso che la storia del nostro Studio possa essere utilmente suddivisa in quattro fasi. Prima fase, la fondazione e l’avvio dello Studio da parte dell’avvocato Pasquale Chiomenti, mio padre, e l’affermazione di questo Studio come uno dei primari studi legali italiani, partecipe significativo della vita economica italiana negli anni del grandioso sviluppo dell’Italia del dopoguerra; parliamo dei decenni ‘50 e ’60, durante i quali l’avvocato Chiomenti era coadiuvato da pochi collaboratori, professionisti di elevato valore tecnico legati a lui da fortissimi vincoli umani.
Seconda fase, gli anni ’70, durante i quali la realtà economica e sociale dell’Italia si è fatta più complessa, lo Studio ha affrontato le relative tematiche professionali e, con mio padre sempre in prima linea e nel pieno della sua maturità professionale, ha immesso appieno nell’organizzazione la generazione nata negli anni Quaranta.
Terza fase, gli anni ’80, caratterizzati per l’Italia da una maggiore stabilità economica e sociale e dal punto di vista della professione dal proliferare di nuove iniziative; lo Studio, in concomitanza con il ritiro dalla professione in Italia dell’avvocato Pasquale Chiomenti, subì inizialmente una importante scissione, ma vide poi l’inserimento di nuove giovani forze e l’espansione di sedi e di materie professionali.
Quarta fase, dagli anni ’90 ad oggi, caratterizzata dal punto di vista del mercato dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie e dal punto di vista giuridico dall’enorme incremento delle normative specialistiche; in particolare, di fronte alla presenza in Italia dei grandi studi anglosassoni, lo Studio ha reagito con una straordinaria espansione numerica e geografica.
Mio padre, nato nel 1914, non apparteneva ad una famiglia di avvocati. I suoi erano farmacisti, che allora, specie nei piccoli centri come Cerignola nelle Puglie, era un’attività alquanto diversa dall’attuale, una combinazione tra antichi speziali e medici di famiglia. Mio padre ricordava ancora quando nella bottega paterna aiutava a preparare le polveri e composizioni medicinali. Diceva però di aver sempre pensato di diventare avvocato. All’età di 16 anni andò a vivere a Roma, presso parenti materni, per frequentare un liceo di alta qualità. Nel liceo Visconti si trovò compagno di banco e divenne amico fraterno di Giuliano Vassalli (del quale avrebbe, dieci anni più tardi, sposato la sorella Donata, mia madre).
La frequentazione della famiglia dell’amico, il cui padre Filippo Vassalli era preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma ed era considerato tra i più illustri, forse il più illustre, giureconsulto e avvocato civilista d’Italia (tra l’altro proprio nel ’29 il professor Vassalli era stato l’estensore della legge di attuazione del primo Concordato con la Santa Sede), la frequentazione di quell’ambiente, dicevo, lo rafforzò nell’idea di divenire avvocato. Studiò legge e si laureò in Diritto Comparato con una tesi sul diritto romano-olandese, un sistema unico che fondeva tratti del diritto romano, del diritto germanico e della common law anglosassone e che vigeva in Sudafrica (questo, curiosamente, anche perché un suo zio che aveva un’impresa in Sudafrica gli parlava in termini mirabolanti di quel paese). Non occorre forse sottolineare che il livello degli studi di mio padre (come pure quello di mio zio Giuliano) fu sempre altissimo, ai vertici delle loro classi.
Dopo la laurea mio padre intraprese un lungo di periodo di studi all’estero, e tra questi due lunghi soggiorni rispettivamente in Inghilterra, a Oxford, nel collegio cattolico di Campion Hall e poi negli Stati Uniti alla Columbia University di New York. Devo aggiungere peraltro che mio padre non avrebbe potuto raggiungere i risultati che lo hanno fatto tanto apprezzare senza il costante impegno lavorativo e i sacrifici quotidiani nello stile della sua vita. Sono stato testimone dei suoi viaggi frequentissimi e faticosi, delle riunioni e delle telefonate senza limiti di orario, e ben ricordo che quando era a Roma la sua giornata (praticamente ogni giorno, perché allora il week-end non era istituzione riconosciuta) iniziava verso le 5:30 avendo lui l’abitudine di lavorare sui documenti al mattino presto prima di intraprendere la giornata di incontri e discussioni. Sottolineo a questo proposito che egli, avvocato eminentemente capace di individuare immediatamente gli aspetti essenziali di una vicenda giuridica, attribuiva tuttavia grande importanza anche alla perfezione formale dei documenti prodotti dallo Studio.
Il 1990 è stato un anno di svolta che ha aperto una nuova epoca. La caduta della cortina di ferro e la fine della contrapposizione tra i due blocchi apre scenari politici ed economici nuovi, le tecnologie avanzate mutano profondamente le forme di comunicazione: si apre l’era della globalizzazione. Tutto ciò ha importanti conseguenze sull’attività professionale imponendo nuove tematiche giuridiche e nuove modalità di svolgimento della professione. In questo contesto si affaccia direttamente in Italia la temibile concorrenza dei grandi studi stranieri: con queste grandi realtà si presenta per noi il momento del confronto accanto a quello della collaborazione.
Significativamente per questa nostra storia, mio padre muore nell’ottobre del 1990.
La sua eredità morale rispetto allo Studio si può riassumere in questi tratti: intraprendenza; preparazione; impegno; indipendenza; correttezza; generosità nella collaborazione”.
La relazione di Carlo Chiomenti è, in effetti, ben più informativa e complessa, e meriterebbe la riproduzione; tuttavia la citazione è limitata agli aspetti di interesse generale della categoria forense. Pasquale Chiomenti è stato dotato da madre natura di talento naturale, ma niente avrebbe potuto, se non fosse stato per l’impegno personale, assorbente, gravoso, anche in età matura – come riferisce il figlio avvocato – e per una buona dose di caso fortuito, la dea bendata, che ha voluto l’incontro scolare con Giuliano Vassalli e con il padre Filippo, “illustre preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma, considerato – dice Carlo Chiomenti – tra i più illustri, forse il più illustre, giureconsulto e avvocato civilista d’Italia (tra l’altro proprio nel ’29 il professor Vassalli era stato l’estensore della legge di attuazione del primo Concordato con la Santa Sede)” e fu “la frequentazione di quell’ambiente (che) rafforzò (Pasquale Chiomenti) nell’idea di divenire avvocato”.
S&P LAB
E’ anche vero che il caso si può e si deve aiutare e, quanto meno, riconoscere per trarne il legittimo vantaggio, e in seguito segnalare con spirito di condivisione. Prendendo spunto dall’esperienza e dalla testimonianza di protagonisti del settore legale, senza pretese, ma anche senza falsa modestia, S&P Lab si propone di dibattere temi di interesse dell’ambito legale per offrire un contributo di esperienza e di cultura, propria e altrui, ricorrendo alle eccellenze del passato e del presente italiano.
In un prossimo articolo sarà ricordata la figura di Emilio Betti, giurista e filosofo del diritto, autore della Teoria Generale dell’Interpretazione e di opere che non vengono frequentate, quanto dovrebbero, dagli avvocati.
L’istituto, ormai spesso incompreso dell’Ordine Pubblico, che, insieme allo spirito, costituisce la cifra dell’opera di Betti, è assolutamente centrale all’ordinamento ed è – come si vedrà – suscettibile di applicazione quotidiana nei contratti e negli atti giudiziari.