Crisi dell’Europa economica e politica
Il rapporto Draghi sulla competitività europea ha riscosso elogi (molti) e critiche (poche). Non risulta, allo stato, che Draghi abbia risposto alle critiche, di rilievo politico e politico economico, più che economico, così integrando il rapporto. Noi, a studio, lo abbiamo letto e discusso e, con la necessaria dose di umiltà, diciamo la nostra, anche in base alla nostra esperienza di giuristi di impresa. Avvertendo, tuttavia, che siamo ben consci della diversità delle materie, sostanzialmente per la ragione della globalità dei temi trattati nel rapporto (al confine tra macro e micro economia, nella prospettazione di interventi di politica economica e di politica estera, quest’ultimi non ancora enunciati), rispetto all’ hortus conclusus di una attività di impresa, sia pure di dimensioni sovranazionali. Aggiungiamo che la crisi descritta da Draghi è, insieme, finanziaria, produttiva, organizzativa (ritenendo l’UE una grande organizzazione) e commerciale (posto che l’obiettivo designato è la competitività), e che una qualsiasi impresa caratterizzata da tali deficit non avrebbe molte chance di sopravvivenza, se non per volontà “politica” dell’organizzazione di appartenenza, dato un prioritario presupposto sociale e territoriale. Ed è, infatti, il presupposto del rapporto, nella visione di Draghi e delle Istituzioni europee e nazionali, che l’UE debba sopravvivere ovvero debba adottare le misure proposte per sopravvivere e consolidarsi.
Premesse e finalità del rapporto
Il rapporto si basa su analisi comparative circostanziate che non consentono dubbi sulla completezza dei dati acquisiti, sui rilievi esposti e sull’obiettivo delle conclusioni. Draghi avverte che “Si tratta di una situazione senza precedenti: il tasso di crescita del 2015 sarebbe sufficiente a mantenere il PIL costante fino al 2050. Se l’Europa non riesce a diventare più produttiva, saremo costretti a scegliere”; e precisa: “Non saremo in grado di diventare, allo stesso tempo, un leader nelle nuove tecnologie, un faro della responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni. Si tratta di una sfida esistenziale. I valori fondamentali dell’Europa sono la prosperità, l’equità, la libertà, la pace e la democrazia in un ambiente sostenibile. L’UE esiste per garantire che gli europei possano sempre beneficiare di questi diritti fondamentali. Se l’Europa non è più in grado di fornirli ai suoi cittadini – o se deve scambiare l’uno con l’altro – avrà perso la sua ragione d’essere. L’unico modo per affrontare questa sfida è crescere e diventare più produttivi, preservando i nostri valori di equità e inclusione sociale. E l’unico modo per diventare più produttivi è che l’Europa cambi radicalmente”. Il cambio radicale è indicato da Draghi nell’assunzione del debito a fini di incremento della produttività e della crescita. Poi verrà il mercato.
La competitività non deve essere un gioco a somma zero
L’incremento della produttività di sistema (quindi industriale e organizzativo, oltre che finanziario) è necessario per competere con i due attuali protagonisti del mercato globale: Stati Uniti e Cina, in danno dei quali, così come di altri protagonisti minori, l’incremento di produttività provocherà i suoi inevitabili effetti, quanto meno transitori, finché non cresca ordinatamente il mercato globale. Draghi ne è certo; infatti, precisa, a beneficio di tutti: “La promozione della competitività non deve essere vista nel senso ristretto di un gioco a somma zero incentrato sulla conquista di quote di mercato globale e sull’aumento delle eccedenze commerciali”. Altri elementi intrinsecamente connessi alla crescita auspicata – e meno trattati nel rapporto – sono il fattore temporale, nell’ambito e nelle more dello sviluppo proporzionato delle produttività settoriali; e le prevedibili misure interdittive dei vari protagonisti, commerciali e politiche in senso lato (il cui esito, nel mondo globale, è soggetto a stima precaria), spesso dissimulate, ambigue, irregolari, e comunque infide. Considerata, non di meno, la consistente e persistente attività invasiva svolta da stati e “non stati” in ambito globale, anche in violazione di regole scritte e non scritte di trattati e principi del diritto internazionale.
La guerra economica in corso
In tema di violazioni, richiamiamo il nostro recente studio sulle modalità della guerra economica adottate dai protagonisti globali negli ultimi 30 anni. Lo studio riguarda soprattutto il caso Italia, ma è prevedibile che modalità ed effetti possano essere estesi alla più vasta comunità europea indebolita dal fattore finanziario e dalla carente organizzazione costituzionale e politica. Per comodità di lettura, ricordiamo che la guerra economica si svolge con modalità ibride, di non immediata lettura, coinvolge soggetti terzi o apparentemente tali, ed è, allo stesso tempo, altamente tecnologica e talvolta ancestrale. Ed inoltre che gli apparati difensivi europei, spin off delle agenzie di intelligence che riferiscono al Premier, sono diversamente attrezzati per riconoscere e contrastare le offese, e, purtroppo, sono anche diversamente motivati, oltre ad essere periodicamente in conflitto tra loro, dichiarato e non. Noi abbiamo trattato nel saggio una casistica significativa, ma incompleta, delle soperchierie economiche e finanziarie subite dalle imprese italiane con modalità illegali abilmente dissimulate. Tra queste, ricordiamo i casi di leveraged buy out (su cui la giurisprudenza di legittimità a distanza di 20 anni dall’introduzione della disciplina non ha ancora statuito il principio di diritto della giustificazione economica e della nullità dell’operazione in caso contrario) e del risparmio tradito a discapito di imprese e consumatori (di cui l’Istat finora non ha raccolto e pubblicato i dati). Precisiamo che il nostro studio, pubblicato come breve saggio di circa 140 pagine, è disponibile a semplice richiesta.
Considerazioni conclusive
In conclusione, riteniamo che il rapporto, opportunamente circostanziato, assolva il compito di proposta progettuale assegnato dalla Commissione e ad essa rivolto (allo stato, non sembra altrettanto alle imprese), costituendo utile strumento di riflessione condivisa, meritevole di concreta articolazione in modalità operative progressive. Inoltre, ci appare necessaria un’integrazione di rilievo politico economico, oltre che economico, inerente alle zone economiche esclusive – ZEE che, in proiezione, integrano le sovranità territoriali di Spagna, Francia, Italia, Croazia e Malta nel bacino del Mediterraneo, percorso, esplorato e impegnato anche da numerosi stati, rivieraschi e non, estranei all’UE. Il concorso ordinato di competenze e di volontà potrà contribuire all’articolazione e realizzazione di un complesso progetto geopolitico che impegnerà, con il consiglio di Draghi, le imprese non meno delle istituzioni europee e nazionali. Nel frattempo, le professionalità italiane, pubbliche e private, di concerto con le volontà istituzionali, faranno sistema per offrire il contributo di esperienze e di capacità alla call to action di Draghi.