Lo scopo della direttiva
La direttiva Bolkenstein, in tema di circolazione dei servizi nel mercato interno, tale dal nome dell’ex commissario europeo per il mercato interno e i servizi, Frederik Bolkenstein (l’amico Fritz, si sarebbe detto una volta), data al 2006, è stata molto criticata, almeno in Italia, e negli ultimi anni è assurta regolarmente agli onori della cronaca all’approssimarsi della stagione estiva per la mancata assegnazione delle concessioni balneari con la procedura prevista dall’art. 12 (selezione tra diversi candidati). I parlamenti che si sono succeduti dal 2006 a oggi, salvo qualche (vano) tentativo di contemperamento della direttiva, hanno preferito differire la scadenza attuativa, rischiando la procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea, tetragona, che richiede attuazione a fini di piena realizzazione dello scopo previsto. La ragione che il bene (spiaggia) in Italia non sarebbe scarso e che lo spazio per gli investitori esteri interessati nelle spiagge italiane non mancherebbe, non è stata accolta dall’Unione né in sede politica, né in sede giudiziaria. Le proteste delle imprese titolari delle concessioni più volte procrastinate, ora in virtù del D.L. n. 131/2024, dichiaratamente concordato con l’Unione Europea (senza pregiudizio delle procedure selettive già iniziate), non sono mancate, ma non sono state coronate dal successo ambito (revisione della direttiva). Quindi, i Comuni interessati dovranno impegnarsi nell’“ordinata programmazione delle procedure di affidamento” (come da decreto) e le imprese si dovranno preparare a competere.
Le ragioni dei concessionari
La voce dei concessionari non è monocorde. Qualcuno per protesta (contro chi?) ha interrotto il servizio di balneazione, molti si fanno sentire in sede locale e nazionale, tutti si rivolgono al governo, che, nel sentimento comune, ha gli strumenti per contrastare la direttiva. Al punto che Fabrizio Licordari, noto imprenditore di settore e presidente di Assobalneari, aderente a Confindustria e a Federturismo, ha dichiarato in una estesa intervista ad un quotidiano che “la partita ora non è più né giuridica né tecnica: è solo politica”. Secondo l’opinione di chi scrive, invece, la partita è più che mai giuridica e tecnica, per ragioni che finora non sono state trattate. E la politica, nel rispetto del ruolo, deve prestare ascolto e intervenire laddove richiesto dalle circostanze, tramite i canali istituzionali. C’è ampio spazio di azione anche per i concessionari.
Le funzioni della direttiva
Infatti, finora il paragrafo 1 della direttiva, a cui l’art. 12 comma 3 rinvia espressamente con la precisazione che gli stati membri possono (o devono) tenere conto “nello stabilire le regole della procedura di selezione” di fattori domestici e di “altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario”, è stato sostanzialmente ignorato da tutti, essendosi concentrata l’attenzione della politica e dei concessionari sui temi del rinvio e, in subordine, del risarcimento: entrambi bocciati dall’UE e dal Consiglio di Stato, che – nell’opinione di chi scrive – in particolare con la sentenza n. 4481 del 2024 ha del tutto esondato dai limiti della giurisdizione, assumendo un ruolo politico e, con ciò, perfino vanificando il principio di diritto enunciato, limitato, per la funzione, alla questione controversa. Nella prospettazione dell’Unione Europea la direttiva non è stata fatta per favorire – diversamente da quanto sostiene la più maliziosa vulgata corrente dei titolari italiani – gli interessi di investitori esteri, plutocrati e oscuri. E’ stata fatta per favorire, nel dichiarato presupposto normativo, “il progresso economico e sociale … uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche … un elevato livello di occupazione … il miglioramento del tenore e della qualità della vita”, e più ancora: si intende sul piano della libertà e della dignità della persona, nella veste sia di imprenditore, che di consumatore. Da tutto questo, finora, la politica e la pubblica amministrazione locale e nazionale, dal 2006 in poi, sono sembrate assenti e gli stessi concessionari, così come tutti i soggetti di diritto dell’ampio indotto di settore, non hanno portato nelle sedi deputate queste questioni: assorbenti e dirimenti, nella prospettiva dell’assegnazione.
La scarsità del bene spiaggia
In base all’osservazione del territorio nazionale, il bene spiaggia in Italia è, allo stesso tempo, economicamente scarso (basti pensare a Capri, Monte Argentario, Portofino, e altre pregiate spiagge che in effetti sono beni unici) e non scarso (si pensi alle grandi spiagge dell’Adriatico). Non è un caso che il Comune di Jesolo ha brillantemente risolto la materia, nel rispetto della direttiva e delle aspettative dei concessionari, sia uscenti, che entranti. Così come, può non essere un caso che i Comuni con gli arenili più appetiti, malgrado l’urgenza imposta dalle circostanze, ancora prendano tempo: sbagliando, nell’opinione di chi scrive. La questione non si può ignorare, per non perdere l’occasione, nel più ampio termine previsto dal decreto, di partecipare alla definizione dei criteri di sviluppo e conseguentemente alle regole della procedura di selezione. Ognuno nel proprio ambito: parlamento, governo, regioni, comuni e soprattutto imprese, che non possono e non devono delegare tutto alla politica.