Il principio di oralità del processo civile
Il processo è governato, in teoria, dal principio di oralità, che richiede la concentrazione e l’immediatezza di domanda e risposta, a tutela delle parti e del principio fondamentale del processo: il contraddittorio. Cosicché le parti – e il giudice – abbiano contemporaneamente a disposizione tutti gli ingredienti del processo nella contestualità della formazione. Questa la teoria. Perché, nella prassi, l’oralità non è mai stata rispettata, nemmeno in tempi remoti, come è documentato da autorevole dottrina che risale agli anni del dopoguerra. Per eccesso di cause, per difetto di organizzazione dei tribunali, per irresponsabilità delle parti nella fase di preparazione del processo. Le riforme che si sono succedute nel tempo, invece di porre rimedio, hanno allontanato sempre più il processo dall’oralità. La riforma più recente, nota come Riforma Cartabia, non fa eccezione, come si dimostra con questa breve riflessione sulla nullità dell’atto introduttivo del giudizio.
Le disposizioni di legge sulla nullità
La materia è disciplinata dall’articolo 164 c.p.c. nel combinato disposto con gli articoli 171 e 171 bis c.p.c., l’uno emendato, l’altro introdotto, dalla Riforma Cartabia. La versione ante riforma dell’articolo 164 era stata a sua volta emendata dalla legge 353/1990 dopo ampio dibattito sul tema della nullità e degli effetti della sanatoria rispetto alla proposizione della domanda, a seguito delle eccezioni di controparte ovvero dei rilievi d’ufficio. Le novità introdotte dalla legge 353/1990 hanno disciplinato la materia distinguendo tra vizi inerenti all’instaurazione del contraddittorio e vizi inerenti alla proposizione della domanda, non emendati dalla Riforma Cartabia.
Vocatio in ius ed editio actionis
Il contenuto della citazione è disciplinato dall’articolo 163 c.p.c., distinto in numeri, da 1 a 7, che riguardano, con l’eccezione del n. 5 concernente gli elementi di prova, la vocatio in ius, cioè la convocazione in giudizio della controparte, e l’editio actionis, cioè la composizione della domanda sottoposta al vaglio dell’autorità giudiziaria, nel contraddittorio delle parti. In particolare, la vocatio identifica l’autorità dinanzi alla quale avviene la chiamata, le parti, i rispettivi legali e le residenze; l’editio riguarda la pretesa svolta nel giudizio e, quindi, l’oggetto della domanda e i fatti e le ragioni di diritto su cui essa si fonda. La mancanza degli uni o degli altri elementi, in tutto o in parte, determina la nullità della citazione.
Le nullità della vocatio
Il primo gruppo di nullità riguarda l’omissione o l’assoluta incertezza dell’indicazione dell’autorità giudiziaria, delle parti, della data di comparizione, l’assegnazione di un termine inferiore a quello previsto dalla norma, la carenza delle avvertenze richieste. L’omissione o l’assoluta incertezza non costituiscono due diverse ipotesi di inosservanza della norma, quanto piuttosto un diverso grado di violazione. E’ prevista la sanatoria dei vizi, a seguito di costituzione della parte convenuta in causa ovvero di rinnovazione della citazione. La sanatoria opera ex tunc.
Le nullità dell’editio
Il secondo gruppo di nullità riguarda l’omissione o l’assoluta incertezza dell’oggetto della domanda e la carenza espositiva dei fatti su cui la domanda si fonda. La mancanza o la carenza di questi elementi non consente alla parte convenuta di comprendere le ragioni della chiamata in causa e di rispondere nel merito di tali ragioni. Sono, pertanto, elementi che presidiano il rispetto del contraddittorio. E’ altresì prevista la sanatoria di tali vizi, a seguito di integrazione degli elementi in questione. La sanatoria opera ex nunc.
Eccezioni di parte e rilievi d’ufficio
I vizi della citazione possono essere rilevati dal giudice, che in tal caso invita alla rinnovazione dell’atto, o possono costituire oggetto di eccezione pregiudiziale o preliminare della controparte, accolta dal giudice. Con l’effetto di sanatoria dell’atto, in caso di adempimento, come si è visto. Nell’uno e nell’altro caso, il processo non potrebbe progredire, perché la permanenza dei vizi espone le parti (e la giurisdizione) all’inutilità del processo e della sentenza. In effetti, nella prassi, i vizi della vocatio sono stati considerati dirimenti, non essendo soggetti a valutazione di merito: gli elementi in questione, sostanzialmente dati di fatto, sussistono o non sussistono; mentre i vizi dell’editio, essendo soggetti a valutazione rispetto alla (in)sussistenza dei requisiti minimi, spesso, nelle cattive abitudini della prassi tribunalizia, sono rinviati alla sentenza, con ciò consentendo alla parte meno ligia un vantaggio competitivo. Però, fino alla Riforma Cartabia, la materia era quanto meno affrontata nell’udienza di prima comparizione, prima della concessione dei termini delle memorie, a seguito delle eccezioni sul punto. Di modo che le parti e il giudice potevano interloquire sulle questioni eccepite.
Le novità della riforma
La riforma ha ulteriormente allontanato il processo dall’oralità. Infatti, il giudice esegue le verifiche preliminari in solitudine, ai sensi dell’articolo 171 bis c.p.c., rileva l’eventuale irregolarità del contraddittorio rispetto alla vocatio, ma non all’editio, per espressa previsione normativa, e tuttavia assegna i termini per le memorie integrative previste dal successivo articolo 171 ter c.p.c. senza avere ascoltato le parti, così consentendo, di fatto, a parte attrice di rimediare alle sbavature dell’atto introduttivo, integrando la domanda prima dell’udienza di comparizione. Si tratta di un fattore non banale a volte, anzi dirimente, come sanno i processualisti, sensibili all’economia del giudizio, al tema della non contestazione delle circostanze di fatto e all’adozione di legittimi espedienti processuali, tendenti, ad esempio, a distrarre l’attenzione della controparte dai punti più deboli della propria difesa. In conclusione, il piano della concretezza operativa diverge sempre di più dalla teoria del principio di oralità.