Un’autodifesa celebre nella Russia zarista

I reati di opinione

Letteratura e cronaca giudiziaria, antica e moderna, non mancano di esercizi difensivi virtuosi, praticati da persone incarcerate per reati di opinione, che, nella trama processuale, sono presentati dall’accusa, di volta in volta, come reati veri e propri, progettati e compiuti nelle modalità dell’istigazione, dell’associazione a delinquere, del favoreggiamento. Spesso coronati dal successo dell’accusa, i processi si sono conclusi con la carcerazione o la condanna a morte, e tuttavia, non di rado, in seguito, i “rei” sono stati riscattati dalla storia.

I colpevoli di reato

La lista è lunga. Noi ne abbiamo selezionato alcuni, in considerazione di due elementi in particolare: la cifra politica dell’accusa e la qualità della difesa e dell’autodifesa, di solito assai modesta, affidata agli umori, all’improvvisazione, a libelli del momento o ad opere divenute celebri “a cose fatte”. Avvertendo che ognuno di questi casi meriterebbe un più ampio esame sotto vari profili, giuridico, dialettico e storico, non meno che letterario, proponiamo ora il caso del giovane Dostoevskij, caduto nella rete della polizia zarista che, a Pietroburgo, infiltrava i circoli intellettuali dell’epoca: prima metà dell’800.

Il caso Dostoevskij

Nel resto d’Europa, in Occidente, dice Dostoevskij, così collocando la Russia e sé stesso nella terra di mezzo tra Occidente e Oriente, si stavano affermando idee poco gradite alle autorità costituite, di matrice socialista e liberale, grazie ai venti della recente rivoluzione francese. Dostoevskij, già noto come letterato, indulgeva nella frequentazione di un salotto, tenuto d’occhio e infiltrato dagli sbirri di regime, e venne incarcerato con gli altri ospiti delle serate a tema improvvidamente politico. Processato, condannato alla pena di morte e condotto dinanzi al plotone di esecuzione, venne “graziato” e destinato per alcuni anni ai lavori forzati e poi alla leva obbligatoria. Niente di nuovo sotto il sole.

L’analisi dell’autodifesa di Dostoevskij

L’autodifesa, da lui affidata al libello “In difesa di me stesso”, possiamo dire, a ragione, che non si sia rivelata efficace, malgrado gli stratagemmi difensivi adottati. Diamo la parola a Dostoevskij. Attento a non intessere le lodi del padrone di casa, primo responsabile, anzi prendendone le distanze, e, di contro, incline all’elogio del sistema politico e sociale della Russia zarista “salvata per ben due volte da un rafforzamento dell’autorità, da un rafforzamento dell’autocrazia … chi da noi pensa ad una repubblica?”, il nostro asserisce di ignorare l’accusa (“mi hanno detto solo che ho preso parte a dei dibattiti … che mi sono espresso da libero pensatore … che ho letto davanti a tutti la corrispondenza di Belinskij con Gogol”) e nega di sapere cosa in effetti si intenda con “libero pensiero”, pretendendo di attribuire all’espressione il desiderio del “meglio per la propria patria”, senza con ciò voler coltivare alcun proposito di “cambiamenti e mutamenti violenti, rivoluzionari”.

La letteratura come esimente

Afferma di non temere le prove a suo carico, pur riconoscendo di essersi espresso contro la censura per la “situazione di pesante tensione per la letteratura”. Quindi, secondo lui, niente di politico e di criminale in senso proprio! E descrive il senso di frustrazione dell’autore censurato che, tra l’altro, teme la prospettiva della penuria dei mezzi di sussistenza. Si rifugia dietro all’evidenza di un preteso equivoco: “mi sono lamentato per dimostrare che un letterato è sospettato in anticipo, che lo si guarda con diffidenza, con sfiducia … la letteratura non può sopravvivere in una situazione così tesa”.

Indagine sull’anima del reo

E’ quindi, secondo lui, il regno dell’anima che viene indagato, invece di quello dei fatti, delle azioni. Così dicendo, Dostoevskij si dimostra precursore di altri numerosi sventurati che, come lui, non solo nella Russia di allora, anche in Europa e in America, non meno che in Asia, ieri e oggi, sono incappati, con maggiore o minore fortuna, nelle maglie del potere, che, a seconda dei tempi e degli ordinamenti, ha reagito, con la polizia politica e il carcere o peggio, al rischio dell’attentato e del capovolgimento politico e sociale.

La condanna

L’ambizione di riscatto sociale, intuita più che ragionata e coltivata, nella Russia zarista apparteneva al mondo contadino, che lavorava per niente e non aveva la proprietà di niente: servo della gleba, della zolla di terra, ad essa legato per sempre. E’ stata efficace l’autodifesa del nostro? Sì e no. Perché è stato condannato, forse anche a scopo dimostrativo, e poi avviato alla pena del carcere e della vita militare, che all’epoca spesso si concludeva con la morte in guerra e comunque portava alle mutilazioni e alla vecchiaia precoce.

Le ragioni della condanna

In termini correnti, si potrebbe ritenere la difesa di Dostoevskij parzialmente ammissiva e inefficace, perché non viene contestata nel merito l’accusa, che riguarda le cattive (o ritenute tali) intenzioni, invece delle azioni. Si era nella Russia zarista, circa due secoli fa. A ben vedere, possiamo sostenere che il processo penale per reato di opinione sia veramente scomparso dalle aule di Tribunale in Occidente? Due processi celebri, entrambi del 900, entrambi affidati all’autodifesa politica più che alla difesa tecnica, uno nell’immediato dopoguerra, l’altro poco successivo, sono caduti nell’oblio e tuttavia sono esemplari.

I casi Brasillach e Fidel Castro

Si tratta dei casi del giornalista francese Robert Brasillach, condannato a morte e fucilato nel 1945, e di Fidel Castro, prima incarcerato da Batista e poi liberato, leader vittorioso dei barbudos e padre nobile o despota di Cuba, a seconda di chi ne parli, dagli anni 50 alla morte, che dimostrano la labilità del confine tra opinione e reato (che, in non poche circostanze, si può addirittura ritenere attività meritevole). Labilità che tale, purtroppo, rimarrà.

Ugo Scuro
Ugo Scuro
Ugo dopo aver completato gli studi di diritto e dopo aver fatto esperienza in grandi studi internazionali, negli anni 70 ha fondato il suo studio legale a Roma. Si dedica da oltre trent’anni all’attività di consulenza ed assistenza stragiudiziale e giudiziale in favore di imprese di ogni dimensione. Autore di numerose pubblicazioni in materia di crisi d’impresa, si è impegnato a lungo nelle ristrutturazioni e riconversioni aziendali, nelle liquidazioni volontarie e concorsuali ed è stato consulente del Prof. Avv. Francesco Vassalli e di altre organizzazioni professionali.

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