Abuso della maggioranza nella società di capitali

La società di capitali è uno strumento utilissimo di esercizio dell’attività di impresa, perché impegna l’imprenditore alla definizione del progetto e alla previsione delle risorse, contribuite sotto forma di capitale, e limita ad esso la sua responsabilità, a condizione che siano rispettate le regole di corretta amministrazione, nel perseguimento dello scopo sociale.

Il confronto annuale tra i soci, e tra i soci e l’amministratore, in assemblea, ratifica la gestione ovvero introduce i correttivi, o amplia gli obiettivi strategici.

L’assemblea è, quindi, il luogo del confronto e della verifica, in cui le ragioni e le critiche, e anche le contestazioni, si esprimono, e valgono, ai fini del voto e della delibera, in base alle partecipazioni di capitale.

E’ il principio fondamentale della società di capitali: chi più ha contribuito al finanziamento dell’attività, più pesa e decide.

C’è una tradizione, non solo in Italia, in tutto il mondo occidentale, in cui si è più affermato il capitalismo, di esercizio del voto assembleare ai limiti della prevaricazione, e talvolta oltre, del socio forte sul socio debole, al punto che si è affermato, in passato, che le azioni si pesano, non si contano (e lo stesso vale per le partecipazioni di società a responsabilità limitata).

Negli anni più recenti, tuttavia, la dottrina e la giurisprudenza si sono dimostrate attente anche alle ragioni dei soci meno capitalizzati, e si è gradualmente formato un orientamento della giurisdizione in tema di abuso della maggioranza.

In assenza di una disciplina normativa, che definisca e disciplini la fattispecie astratta, il giudice di merito ha ritenuto che l’abuso si concretizza quando la delibera è volta alla lesione degli interessi del socio di minoranza, difettando di buona fede nell’esecuzione del contratto sociale.

Il conflitto di interessi tra soci assume, pertanto, una valenza paradigmatica, ai fini della qualificazione del comportamento del socio di maggioranza.

Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 10643 del 2015, osserva sul punto: “E’ noto che il conflitto di interessi del socio è figura che costituisce il paradigma di quella, pur diversa e più ampia, che integra l’abuso di maggioranza ed entrambe costituiscono vizi di annullabilità e non di nullità della deliberazione, sicché la previsione della “prova di resistenza” pare senz’altro applicabile anche alla fattispecie abusiva”.

Sempre il Tribunale di Milano, in altra decisione del 7 giugno 2018, dimostrandosi attento alle prerogative dell’amministrazione e della gestione, e, tuttavia, anche dell’esigenza di sindacato delle delibere assembleari, stabilisce “che il sindacato del Tribunale non può, neppure in caso di paventato abuso, estendersi al merito gestorio; nel caso di specie, le modalità di preparazione e svolgimento dell’assemblea sono state tali da fugare ogni dubbio in ordine allo strumentale utilizzo della decisione della maggioranza rispetto a scopi estranei alle pressanti necessità finanziarie della società”.

In sostanza, la condotta abusiva del socio forte, formalmente legale, deve essere ricondotta ad altre fattispecie disciplinate dalla legge (il tema del conflitto di interessi è stato ampiamente percorso dalla giurisprudenza) per stabilirne la illiceità.

Tuttavia, il conflitto di interessi riguarda i soci, rispetto ai quali la società è astrattamente estranea, e, quindi, la contestazione del socio di minoranza, su cui incombe l’onere della prova dell’abuso, deve essere focalizzata sull’interesse sociale leso dalla condotta prevaricatrice del socio di maggioranza, lesiva, in effetti, nella sua prospettazione, delle prospettive dell’attività di impresa.

I casi più ricorrenti di abuso della maggioranza riguardano l’aumento di capitale, l’emendamento del diritto di prelazione, le condizioni di recesso e le strategie di investimento. Il socio di minoranza non può, pertanto, limitarsi a lamentare apoditticamente la lesione del suo diritto, ma deve offrire un criterio oggettivo di controllo dell’atto illecito in questione, nel contesto dell’attività di impresa. Si tratta, in effetti, di materia che soprattutto piccoli e medi imprenditori e soci sono poco abituati a trattare.

Per concludere, è bene precisare che la giurisprudenza di merito non esclude l’abuso della minoranza, a maggior ragione rispetto alle prospettive dell’impresa.

Nicola Scuro
Nicola Scuro
Nicola è avvocato in Roma ed esercita la professione forense nel campo del contenzioso civilistico, societario, concorsuale e fallimentare e nel settore stragiudiziale, come Managing Director della Scuro & Partners Srl. Legale di procedure concorsuali e Commissario Liquidatore di società cooperative, nominato con decreto del M.I.S.E., è docente a contratto in diritto civile, penale e processuale civile per la Ius & Law S.r.l. Autore di articoli e pubblicazioni nelle materie di elezione, è componente della Commissione “Processo civile” istituita presso l’Ordine degli Avvocati di Roma. E’ abilitato al patrocinio in Cassazione e presso le altre magistrature superiori.

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