Il cubismo della prova nel processo civile

Il presupposto e gli effetti della domanda

La domanda del processo civile, in concreto le ragioni della chiamata in causa, deve essere provata, sia nella premessa (in termini processuali, il presupposto costitutivo dell’azione), sia negli effetti: ad esempio, il danno patito da parte attrice. Che, per legge (ex articolo 2697 c.c.: “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”), con la richiesta di ristoro del danno, ha l’onere di provare i fatti dedotti in causa. Destinati verosimilmente ad essere contestati dalla parte convenuta nel giudizio, che, a sua volta, ha l’onere di provare le circostanze esimenti. Quindi, i fatti devono essere provati. Ma quale è il fatto rilevante ai fini della domanda? Quale prova deve essere offerta del fatto? Quale elemento specifico determina la rilevanza del fatto? Sono i quesiti che, prima di tutto, si pone il legale di parte attrice quando prepara l’atto di citazione in giudizio.

La rilevanza del fatto

Il fatto naturale o umano, di per sé, è irrilevante sotto il profilo giuridico, se non produce effetti rilevanti nel rapporto tra persone (in tal caso, soggetti di diritto), ad esempio, a causa della produzione di un danno imputabile ad azione od omissione umana: e quindi, ad esempio, la condotta di una persona alla guida di un’autovettura, la caduta di un albero su un malcapitato in un giardino aperto al pubblico, la tracimazione di un fiume male arginato, in breve qualsiasi effetto nocivo a persone e cose causato da un fatto che avrebbe potuto e dovuto essere evitato, in una società complessa, disciplinata da un sistema giuridico.
Si presentano, quindi, almeno due ordini di prova: l’uno concernente il fatto, l’altro concernente il nesso tra fatto e danno patito, il cosiddetto nesso di causalità. Senza nesso, non c’è ristoro, perché il fatto, ancorché avvenuto e provato, potrebbe non avere provocato il danno oppure perché potrebbero non esserci responsabilità dell’uomo, in sostanza nessuno avrebbe dovuto o potuto fare alcunché in prevenzione.
Tutto questo in astratto, perché in concreto, cioè nella realtà processuale, le cose vanno diversamente. Sono complicate dagli interessi in conflitto e dalla relativa affidabilità dei testi, tanto nel caso in cui la deposizione integri la produzione documentale, quanto nel caso in cui supplisca alla mancanza di documenti.

La scomposizione e travisamento del fatto

E’ noto, infatti, che, dello stesso fatto, le persone non di rado rendono versioni differenti, se non divergenti. E’ l’effetto Rashomon, dal titolo del film girato nel 1950 dal regista giapponese Akira Kurosawa. In tribunale, può non accadere diversamente, e cioè che i testi interrogati sui capitoli di prova, pur circostanziati per essere ammessi (la genericità preclude l’ammissione), rendano versioni non concordanti, ad esempio sulla dinamica (cosa è successo prima e cosa dopo), sulle specificità (quantitative o qualitative) o sul contributo umano (effettuato o mancato, ancorché dovuto) all’avvenimento.
Al punto che del fatto, a volte, a seguito della scomposizione e delle analisi provocate dal contraddittorio, vengono offerte, nell’unità di tempo e di luogo, deformazioni del tutto analoghe ai volti scomposti e ricomposti, disegnati da Picasso nel periodo del cubismo.
Né è a dire che “carta canta e villan dorme”. L’affidabilità dei testi, infatti, vacilla anche in presenza di documenti, che, a loro volta, possono prestarsi a interpretazioni, per assenza di data, per incertezza della provenienza, per contraddizione con altri documenti precedenti o successivi.

La vicinanza della prova

Se poi il documento è unico e si trova nella disponibilità esclusiva di una delle parti o di un soggetto terzo, prima di tutto bisogna spiegare perché si tratta di prova necessaria ai fini della decisione, perché il giudice ordini l’esibizione in giudizio, in base al principio consolidato della vicinanza della prova.
Di un documento, astrattamente, si può sostenere la decisività agli effetti della prova della domanda: spesso smentita dalle ragioni opposte dalla parte che ne sarebbe svantaggiata. Per disconoscimento della firma, per mancanza di un documento di confronto, per distruzione dell’originale e mancanza di parametri di riferimento per la copia. Quando non si scatenano le fantasie più inverosimili di parti che non temono il ridicolo e, talora, la sanzione comminata dal giudice per mancanza di buona fede processuale, specificamente prevista dalla legge e sottoposta al controllo dell’autorità giudiziaria nel corso del processo.

Alessandro Scuro
Alessandro Scuro
Alessandro è diplomato presso la Scuola Navale Militare “Francesco Morosini” di Venezia e dopo la laurea magistrale in giurisprudenza si è specializzato in diritto societario. È abilitato allo svolgimento della professione forense ed è il direttore responsabile della testata giornalistica NuovoMille.it

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