La stampa scopre il terzismo 60 anni dopo

Il caso del grande stilista

La Procura della Repubblica indaga sul caporalato e sullo sfruttamento della manodopera costretta a turni di lavoro massacranti e la stampa pubblica articoli a doppia pagina. Su un fenomeno che è noto a chi frequenta il mondo dell’impresa italiana da almeno 60 anni. Ora, però, è incappata nelle indagini la produzione di un grande stilista, azionista anziano non impegnato nella gestione, inconsapevole fino a prova contraria delle nefandezze adottate da chi ha le mani in pasta nella gestione, e la stampa si appassiona. Forse per conto altrui, visto che un noto collezionista di imprese del lusso d’oltralpe ha già spolverato il pallottoliere per calcolare quanto vale, o meglio quanto può valere per lui, il grande marchio. Meno che per altri, perché lui dispone di liquidi ed è in grado di magnificare il futuro prossimo venturo di azionisti, amministratori e professionisti che contano. Alle spalle dei terzisti, chiamati con eleganza francese i faconnier, che hanno fatto la fortuna dell’impresa con prodotti a loro pagati 100 e venduti al pubblico a 2.000, laddove il costo di produzione è marginale rispetto al profitto, non viceversa.

Il terzismo fenomeno d’annata

In origine, nel dopoguerra, la manodopera era impiegata – e sfruttata – dal piccolo imprenditore, che, a sua volta, era operaio e venditore e non si sottraeva al lavoro manuale. Nelle cantine dei palazzi bombardati e in altri luoghi ameni. Con il boom e le leggi di protezione del lavoro, le cose sono cambiate. La produzione è stata spostata all’esterno, dapprima eseguita dagli stessi operai, alcuni dei quali sono diventati direttori di produzione e avrebbero conquistato un ruolo insostituibile, se l’impresa madre, cresciuta e smaliziata, non avesse adottato tutte le capacità esclusive di direzione e controllo della produzione, applicate con specifiche severe. Riducendo – si intende – i margini del terzista che, oltre lo skill, in competizione con tanti altri pronti a sostituirlo, non aveva altro. Le macchine erano in leasing, il capitale inesistente. Oltre agli operai soffrivano l’erario e la previdenza sociale. Ma l’impresa madre acquistava valore e alimentava il successo con il lavoro altrui, pagato poco o niente. Fino alla cessione del controllo da parte dell’imprenditore o, più spesso, degli eredi.

Le leggi non mancano

Sembra un ritratto a tinte fosche di un sistema giuridico carente, incapace di evolversi e di adattarsi alla realtà che cambia. Niente affatto. Le leggi non mancano. Fin dagli anni 60. Non sono applicate, perché il terzismo si regge in parte sul ricatto della sostituzione, in una guerra tra poveri, e in parte sulla complessità della giurisdizione ordinaria civile (la sede idonea alle controversie in materia). Che richiede legittimazione ad agire e prove, non risponde con la prontezza richiesta e presenta costi di esercizio che non rientrano nella disponibilità di tutti. Non diversamente accade con le Authorities che tendono a non impegnarsi nel piccolo. Anche giustificatamente. Altrimenti, ad esempio, l’autorità antitrust in Italia non saprebbe a chi dare i resti, se dovesse stare dietro alle elusioni della concorrenza e agli abusi delle posizioni dominanti. Come sanno bene sia gli imprenditori, sia i professionisti meno protetti. Idem per la Consob, per quanto di sua competenza. Come sanno bene tanti obbligazionisti e piccoli azionisti. Quindi il terzismo, nella sua configurazione peggiore, è un male necessario?

Non ci sono ricette che curano tutti i mali

Nel caso del grande stilista, la Procura scrive: “vi è una cultura di impresa gravemente deficitaria sotto il profilo del controllo anche minimo della filiera produttiva della quale la società si avvale”. Potrebbe averlo scritto la società di revisione, un creditore insoddisfatto, un azionista, il legale di una OPA ostile. Non necessariamente una Procura inquirente su fatti connessi, perché, di per sé, il deficit di cultura non è materia di competenza della Procura. Poco più avanti, il giornale che riporta la notizia, precisa che le indagini di un’altra autorità vanno avanti dal 2015! 9 anni, ai nostri giorni tempi geologici. Fermo restando che nella giustizia non ci sono panacee per tutti i mali, la materia del terzismo si presta a interventi nella sede giudiziaria civile ben più che nella sede penale. Per questioni di concorrenza, di alterazione degli elementi negoziali, di abuso, di mancanza di buona fede contrattuale, e via dicendo, che non vengono sollevate dalle parti lese per il legittimo e fondato timore di perdere il lavoro. Così il sistema si è perpetuato, con l’effetto che il contributo dei terzisti al valore delle grandi imprese è stato realizzato dagli azionisti di controllo. In teoria, una parte di quel valore sarebbe spettato ai terzisti e l’intera economia, oltre al benessere diffuso, ne avrebbe beneficiato. E magari le grandi imprese sarebbero ancora italiane. Non è l’economia, bellezza, per mutuare Humphrey Bogart. E’ guerra economica non contrastata. Uno spicchio della guerra economica, si intende. Perché il fronte è molto più esteso (nel nostro libro sulla guerra economica ne diamo ampia documentazione).

Ugo Scuro
Ugo Scuro
Ugo dopo aver completato gli studi di diritto e dopo aver fatto esperienza in grandi studi internazionali, negli anni 70 ha fondato il suo studio legale a Roma. Si dedica da oltre trent’anni all’attività di consulenza ed assistenza stragiudiziale e giudiziale in favore di imprese di ogni dimensione. Autore di numerose pubblicazioni in materia di crisi d’impresa, si è impegnato a lungo nelle ristrutturazioni e riconversioni aziendali, nelle liquidazioni volontarie e concorsuali ed è stato consulente del Prof. Avv. Francesco Vassalli e di altre organizzazioni professionali.

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